giovedì 15 dicembre 2011

Sensibile

In due post precedenti racconto del viaggio della memoria fatto nel mio quartiere natio (qui e qui). E ho scritto del negozio di frutta e verdura trasformato in farmacia. 
'Sto fatto mi ha colpito: l'ho letto come un segno dei tempi. Voglio dire, le malattie sono sempre quelle, bene o male, e gli acciacchi esistevano anche tempo fa. Non è che, tutto d’un botto, soffriamo più di prima.
Forse siamo un filo più reattivi, più sensibili. A ogni dolorino c’è bell’e pronto il suo rimedio, di marca o generico. I fastidi sono stati promossi al rango di patologie, quindi curabili con pastiglie o compresse. E' come se ci osservassimo con un microscopio. Scoviamo imperfezioni sempre più piccole - il più delle volte innocue - che, viste attraverso la lente, diventano enormi.
Abbiamo anche meno pazienza. Non concediamo al nostro corpo il tempo necessario per sbarazzarsi, da solo, dei doloretti. O almeno per abituarsi e conviverci. In fin dei conti non siamo così delicati. Se non abbiamo una corazza o un guscio, un motivo ci sarà.
E ci preoccupiamo anche un po' troppo. Tutti questi farmaci che, in teoria, dovrebbero prevenire e proteggerci, aumentano la paura e l’ansia. Forse è lo stesso effetto indotto dagli antifurti o dai dispositivi per la sicurezza: più ce ne sono e meno ci sentiamo tranquilli. Un controsenso. A ogni angolo c'è una telecamera, le case sono blindate eppure siamo sempre più inquieti. Non sarà che questa smania salutistica e protettiva generi aspettative troppo elevate, fuori dalla nostra portata?

Illudersi di poter essere infrangibili, o di avere il (video)controllo su tutto, si scontra con la cruda realtà: la vita è rischiosa e, forse, provvisoria.
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 L'Editore sottolinea che l'uso della prima persona plurale è dovuto alla sindrome di Othelma che affligge l'Autore, per la quale non esiste farmaco.