lunedì 16 gennaio 2012

A me mi piace due per volta

Massì dai, è così bello scrivere.
Ho pensato di provare a fare un altro EDS (qui i dettagli). Ho consultato sette avvocati e mi hanno detto che, nelle regole di ingaggio, la quantità non è specificata. Quindi ...

Cronache dell’anno mille

E’ una grande Basilica. Resisterà nei secoli.
Sapranno chi l’ha voluta, chi l’ha progettata e chi l’ha decorata. Ma chi si ricorderà di noi, che la stiamo costruendo? Nessuno; di noi non si saprà nulla.
Ogni giorno squadriamo pietre, costruiamo mattoni e rischiamo la vita sui legni traballanti, a decine di metri di altezza. Lavoriamo dall’alba al tramonto, cercando di innalzare muri e pilastri per avvicinare gli uomini al cielo.


15 dicembre 1116
Oggi si è rotto un ponteggio e cinque di noi sono caduti. Tutti morti. Tutti nostri amici.
Il loro sangue, versato sulle pietre di questa chiesa, sarà lavato via dal tempo e saranno dimenticati. O forse, peggio, mai ricordati.
Il Vescovo ha voluto incontrare noi muratori nel cantiere, e ci ha parlato. Lui, in piedi su una passerella improvvisata, noi nel fango gelato. Parlava col cuore e con le mani si teneva sollevata la pelliccia di ermellino, per non farla sporcare.
“E’ destino, il Signore ha voluto così”, ci ha detto. “Continuate con maggior impegno perché il sacrificio dei vostri compagni non sia vano”. Ora i nostri cinque amici sono nel Regno dei Cieli a costruire cattedrali splendide per i Santi. Eppure noi piangiamo ugualmente. Siamo tutti nelle mani del Signore, ma quando si muore così, le parole non ci tolgono il dolore e la rabbia dai cuori.
Lo sapevamo tutti che quel legno era scadente. Qualcuno aveva provato ad avvisare il capo costruttore, ma era stato subito zittito. Siamo ignoranti, però i nostri occhi sanno distinguere il guasto dal sano. Nelle persone come nei materiali.
E adesso ci sono cinque famiglie distrutte. Cinque mogli e quattordici figli condannati a soffrire la fame, per un legno marcio che ha ceduto. Quanti di loro arriveranno alla prossima primavera? Quanti piccoli si porteranno via le febbri?
Preghiamo il Signore ogni mattina, chiediamo la sua protezione. Ma le sue vie non sono le nostre vie.
E stasera, dopo il lavoro, ci siamo riuniti intorno al fuoco, per scacciare il freddo dalle ossa e la tristezza dal cuore. Il vino, la nostra medicina, ci ha sciolto la lingua.
Gli angeli, che hanno accolto i nostri compagni in Paradiso, perché non hanno impedito a quel legno di marcire o di rompersi? Invece di portare in cielo i nostri compagni, perché il Signore non li ha lasciati sulla terra, a sfamare i loro cari?
Sono questioni troppo difficili per noi, gente semplice. Per di più sono pericolose. I preti dicono che cercare di capire fa entrare il diavolo nei nostri cuori, e troppi perché condannano all’inferno.
Noi dobbiamo romperci la schiena, trasportando le pietre squadrate in alto a decine di metri dalla terra. Per questo siamo nati e questo è il nostro posto nel mondo.

26 dicembre 1116
Il Vescovo è tornato e ci ha esortato a lavorare con più impegno, per la gloria dei Santi. Con lo sguardo al cielo ha detto: “Il Signore mi è apparso in sogno e ha garantito il Paradiso per tutti quelli che opereranno con gioia e devozione alla costruzione della Sua Chiesa. Il Signore veglierà su di voi affinché la Basilica sia terminata nel giro di due anni”. Noi ci siamo guardati in faccia, di nascosto. Il Capo costruttore si tormentava le unghie e aveva lo sguardo preoccupato. Sappiamo bene cosa significa questa visita: lavorate di più o vi lasciamo a casa. Ci siamo subito messi all’opera. I più robusti si sono caricati sulla schiena due ceste di pietre, i più agili sono corsi sulle scale traballanti per arrivare in fretta alle carrucole. Nonostante il gran freddo, sudavamo. Le gocce si fermavano sulle sopracciglia e congelavano.
La sera, intorno al fuoco, i nostri indumenti fumano: sembriamo diavoli affaticati. In silenzio, gli sguardi persi nelle fiamme, ci passiamo le ciotole di vino caldo, aspettando che l’alcol addormenti le preoccupazioni.

2 gennaio 1117
Forse il Vescovo aveva ragione. Non ci sono stati altri incidenti e il capo costruttore è stato sostituito, perché i lavori sono in grande ritardo. Altri muratori sono arrivati dalle città vicine e il cantiere è in piena attività. Nessuno di noi è stato mandato via e siamo più tranquilli. Forse, per quest’anno, riusciremo a garantire il pane alle nostre famiglie.
La mattina è gelida; cerchiamo di riscaldarci le mani, chiudendole a coppa vicino alla bocca e soffiando. Alla fornace abbiamo lasciato i più anziani e quelli malati mentre i più robusti, e gli ultimi arrivati, vanno su e giù dai ponteggi con i carichi. La copertura della navata centrale è stata completata. Finalmente si può lavorare anche al coperto.
Abbiamo acceso nuovi fuochi nel cantiere, per impedire all’acqua degli impasti di ghiacciare e rovinare così i mattoni e la malta.
Oggi il cielo è di un blu intenso. Il rosso dei mattoni e il bianco dei marmi sono una gioia per gli occhi. In lontananza, il fiume è un nastro brillante che riflette il sole.


3 gennaio 1117
Era passata qualche ora dalla compieta quando è iniziata la fine del mondo.
Un boato fortissimo, lacerante  e la terra ha incominciato a sollevarsi e a tremare. Il demonio scuoteva il mondo per far uscire i suoi diavoli dagli inferi. I tetti e le pareti ci crollavano intorno, mentre cercavamo riparo in strada, dove altri uomini scappavano, urlando, in mezzo al buio. Il rumore era insopportabile. Cercavamo di tenerci abbracciati ai nostri figli, alle nostre mogli, resistendo alla furia del diavolo e delle persone in fuga. Come animali inseguiti dal fuoco, correvamo verso la piazza e verso i campi; alla cieca, perché le uniche luci erano quelle degli incendi che incominciavano a propagarsi.
Aspettiamo l’alba, intirizziti e impauriti. Molti piangono, qualcuno prega. Si sentono i lamenti dei feriti e le urla di chi non trova più i famigliari. E il boato della terra che continua ad agitarsi.

4 gennaio 1117
Il sole è sorto. Forse il Signore ha voluto regalarci un altro giorno su questa terra. La luce del mattino ha illuminato una distesa polverosa di rovine. Dove fino a ieri c’erano le nostre case ora si vedono cumuli di macerie e incendi. Uomini e donne si aggirano come fantasmi chiamando i figli, le mogli, i mariti dispersi. Qualcuno piange già i suoi morti. Spesso la terra trema ancora, e noi con lei. Ogni scossa ci abbracciamo più forte, chiudendo gli occhi. Alcuni sono riusciti a recuperare qualche vestito. Ci guardiamo in silenzio: gli sguardi impauriti dei nostri figli cercano i nostri occhi per avere conforto. I soldati hanno cominciato a pattugliare i quartieri dei nobili.

5 gennaio 1117
Siamo tornati al cantiere. La Basilica è stata molto danneggiata. Le capriate e il tetto della navata centrale sono crollate. Anche la facciata in cotto è distrutta. Dieci anni di lavoro andati in fumo. Ci siamo contati, molti mancano. Giriamo a vuoto tra le rovine, in silenzio; con la Basilica sono crollate le nostre speranze.
A metà mattina è arrivato il Vescovo.Proprio in quel momento c’è stata un’altra scossa. Ci siamo accucciati a terra e il Vescovo si è appoggiato ad un muro. Con la mano destra ha stretto la croce d’oro che porta appesa al collo. Quando la terra si è calmata, il Vescovo ha parlato con il capo costruttore e poi se n’è andato subito, in fretta.
A noi non ha detto nulla, neppure una frase di conforto. Ci avrebbe fatto piacere ricevere una sua benedizione, sapere se davvero era iniziata l’Apocalisse, ma forse non aveva tempo per noi. Il capo costruttore ha detto che i lavori alla Basilica proseguiranno solo dopo la ricostruzione della città. Siamo tutti senza lavoro e senza casa.
Il cielo, gonfio di nubi, promette tormenta.

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