martedì 28 febbraio 2012

Nel blu

Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare. (L. da Vinci) 



"Traino si allinea per decollo immediato da pista due-cinque".
Il messaggio radio è perentorio: ci siamo, aumentano i battiti e l’adrenalina sale. Con gli occhi incollati all’aereo, la mano destra sulla cloche, la sinistra vicino alla leva di sgancio – non sai mai cosa può capitare nei primi metri – aspetto.
L’aereo dà gas, tutta manetta e parte. Davanti a me la corda si tende e l’aliante incomincia a muoversi.
"Calma, tieni giù il muso", mi dico. Questo è un gioiellino fatto per volare, appena raggiunge i 40 km/ora si solleva. Ed è troppo presto. "Porta pazienza, aspettiamo l’aereo" bisbiglio. Io ci parlo con l’aliante, sono sicuro che mi senta. Non sempre ascolta, però. D’altronde è lui che conosce tutti i segreti dell’aerodinamica.
Finalmente l’aereo decolla e lascio libero l’aliante di staccarsi dalla pista.
Mentre lo mantengo allineato con il traino, ripasso le procedure di emergenza: sotto i 50 metri, atterrare diritto con accostate minime di 45° a destra o sinistra; sopra i 50 metri valutare il vento e gli ostacoli e considerare la possibilità di rientrare al campo.
Non sono paranoico: a quote basse la differenza tra successo e disastro è minima.
Fino ad ora sono stato fortunato e non ho mai dovuto sganciarmi così vicino al terreno. Se dovesse succedere - e Dio non voglia - bisogna reagire d’istinto: in un attimo sei giù.
E intanto si sale, traino e aliante.
Finché sono attaccato all’aereo non posso rilassarmi, devo mantenere la coda del traino esattamente davanti a me e controllare gli assetti di volo.
Finalmente arriviamo a 700 metri, la quota cui ognuno va per la sua strada. Controllo a destra che il cielo sia sgombro, tiro la leva dello sgancio e imposto una virata decisa.
Liberi, finalmente siamo liberi. Un’ultima occhiata al traino che si allontana sulla sinistra e incomincio la caccia.
Già, perché il volo in aliante è una continua ricerca. Bisogna agganciare gli sbuffi di aria calda in grado di sollevare questi 300 chili di ferro e tela. Tutti i sensi collaborano: con gli occhi cerco gli uccelli che, volteggiando, si fanno trasportare dalle correnti ascensionali; l’udito è sintonizzato sul sibilo dell’aria - un fruscio leggero e costante vuol dire che sto volando al meglio; tutto il corpo è pronto a cogliere il minimo tremolio dell’aliante, segnale inequivocabile di aria in salita.
Rapida occhiata agli strumenti: altimetro a 900 metri, "evvai, ho già guadagnato 200 metri!". Il variometro a +3 m/sec segnala che sto salendo bene; se riesco a restare in questa colonna d’aria arrivo a 2000 metri in un attimo. L’anemometro indica una velocità di 65 Km/h: un po’ bassina, ma va bene così, devo solo stare attento a non fare virate troppo strette, altrimenti l’ala interna va in stallo ed entro in vite. Niente di grave, con quasi mille metri di aria sotto di me, però preferisco evitare queste sensazioni forti.
Fuori lo spettacolo è grandioso: quello la in fondo è il Monte Bianco, le macchie blu cobalto sono i laghi prealpini e davanti a me vedo gli Appennini toscani.
Non mi sento padrone del mondo, piuttosto parte di quel cielo tranquillo, d’un azzurro intenso. Sono sovrastato da montagne di vapore bianco, immerso nel silenzio. E’ una sensazione che condiziona lo spirito. I pensieri si fermano; resta solo l’attenzione, quasi automatica, agli assetti di volo e la quiete, la gioia.
Sto volando in cerchio appena sotto un falco; mi vede e scende di fianco alla mia ala sinistra, per controllarmi. Ovvio, non mi considera un pericolo, sono troppo pesante e ingombrante per disturbarlo. Io, comunque, gli sorrido. Un’inclinazione più decisa dell’ala e il falchetto, in un attimo, ritorna sopra di me.
Ehilà, sono a 2500 metri! Non c’è male: un guadagno di quota di 1800 metri soltanto grazie alle correnti termiche. Guardo il panorama sotto di me: le città sono belle, pulite e ordinate. Il colore dei mattoni risalta nel verde della campagna. Il fiume Po, illuminato dal sole, è un nastro d’argento.
Incomincio a essere un po’ stanco: sono già trascorse tre ore - proprio volate - e le continue correzioni sulla cloche e sui pedali mi hanno affaticato.
Questo è sempre il momento peggiore: il fisico è provato ma si vorrebbe star su ancora un po’.
Questi sentimenti ormai li conosco e significano una cosa sola: è ora di tornare, prima che la lucidità cali e la fatica rallenti i riflessi.
Con la mano sinistra afferro la leva dei diruttori, la tiro e controllo che i piani mobili in acciaio siano usciti dal profilo delle ali. Guardo il variometro che schizza a –5 m/sec. I freni aerodinamici stanno facendo il loro lavoro: modificano la superficie dell’ala e l’aria non è più in grado di sostenere l’aliante; incomincio a perdere quota velocemente.
L’aliante vibra, protesta, le ordinate cigolano: non ne vuole sapere di scendere. E come dargli torto: è una macchina fatta per volare. Mi piange il cuore vedere le lancette dell’altimetro che indicano una quota sempre più bassa. La terra si avvicina, controllo gli strumenti e gli assetti: tutto a posto.
Faccio l’ultima chiamata alla torre, per avvisare che sto per atterrare, e intanto controllo la manica a vento.
La pista è sgombra, ci sono un paio di aerei che devono scendere ma mi hanno già visto.
A 50 metri dal terreno  - pochissimi – è vietato sbagliare. Mantengo la velocità a 90 km/h, scendo a 2 m/sec e sono allineato all’asse pista. Tutto fila liscio. D'improvviso una botta sull'ala sinistra: c’è turbolenza, l’aliante si inclina e scarroccia sulla destra, ma la velocità è sufficiente per evitare brutte sorprese.
Ormai l’altimetro è sullo zero, sotto di me l’asfalto della pista scorre via veloce. Alzo un po’ il muso dell’aliante e tocco terra. Il volo non è finito: sto correndo sulla pista e basta una disattenzione per far danni. Un colpetto ai pedali per portare l’aliante fuori pista e farlo fermare sull’erba.
Apro il tettuccio, stacco le cinture di sicurezza e scendo.
Sono a terra, ma il cuore è ancora lassù. Prima di allontanarmi accarezzo il musetto dell’aliante con la mano, come per pulirlo.


* * *

Un grazie a LaDonnaCamel, che con il post "Ma quando imparerai, quando?" (qui) mi ha ispirato e dato la sveglia.