(Il giovane Holden, XXVI capitolo, pag 233 – Einaudi)
Un sacco di gente continua a domandarmi cosà farò quando tornerò a casa, se studierò eccetera eccetera.
Soprattutto lo psicanalista. Quello spara domande a raffica. Un bel tipo, niente da dire. Ma voi ascoltereste uno psicanalista in dolcevita nero e scarpe da ginnastica? Voglio dire, un dottore deve vestirsi da dottore. Non è che senza il camice diventa un amico cui raccontare tutta la mia vita schifa, i miei problemi e compagnia bella. Se volessi parlare con un amico, e giuro che non ne ho voglia, andrei dal barista dell’Harry’s Bar, in fondo alla strada. Lo conosco bene il barista. E’ fenomenale. Non fa domande, non risponde e penso che neppure ascolti. Però è simpatico: appena mi faranno uscire, andrò a farmi due risate con lui.
"Carl, mi stai ascoltando?"
Questo dottore è un mago, devo ammetterlo. Faccio di tutto per farlo contento, ma se ne accorge quando non ascolto, cioè quasi sempre. E sì che, da quando mi ha beccato a guardare fuori dalla finestra – c’è un giardino bellissimo - tengo gli occhi fissi su di lui.
"Ti vedo triste, a cosa stavi pensando?"
"Dottore" odia quando lo chiamo dottore, vorrebbe che lo chiamassi John ma non ce la faccio proprio "scusi ma oggi sono depresso".
Ecco, sono in trappola, maledizione! Giuro che non volevo rispondere così, ma a me le parole scappano dalla bocca. Mica riesco a fermarle.
"Depresso? E come mai?"
Adesso non so se riesco a sfangarla. E poi è vero che sono depresso. Piuttosto di entrare qua rinuncerei alla bottiglia per un mese di fila, giuro.
Già il suo studio è deprimente: pieno di medicine, flaconi e compagnia bella. La poltrona su cui sono seduto cigola ogni volta che respiro e questo mi dispiace. Non voglio disturbare il dottore - si vede che davvero ci tiene ad aiutarmi - e cerco di respirare il meno possibile. E poi l’odore di cuoio che c’è nell’aria mi ricorda mio padre. Mi sa tanto di trappola. Quest’odore mi fa venire sempre in mente la prima volta che sono stato accompagnato a casa dalla polizia - sono gentili gli agenti, mica sbattono fuori dal commissariato un minorenne .
Ero ubriaco fradicio, non riuscivo a stare in piedi eccetera eccetera. Mio padre mi ha fatto coricare sul divano in soggiorno - mai trovato un divano più scomodo - mi ha coperto con un plaid scozzese e ha incominciato a fissarmi in silenzio. Ecco, quella è stata la prima volta che mi sono depresso. Credevo gli fosse venuto un colpo, da tanto che stava immobile.
"Carl, dimmi a cosa stai pensando. Se mi aiuti, fra due settimane torni a casa."
Odio quando mi chiedono aiuto. Da ammazzarsi dalle risate, chiedere aiuto a uno come me. E poi io non voglio tornare. A casa mia c’è troppo vuoto, un vuoto enorme da togliere il fiato. Meno male che adesso ho quasi finito con il dottore. Non vedo l’ora di andare a mensa. Ho una fame enorme: mi mangerei il piatto con tutto il tavolo, giuro.
Vi ho raccontato più del dovuto. Non che ce l’abbia con voi, per carità. Anzi, siete fenomenali. E’ solo che a me raccontare fa male. Perché parto da un punto e non so mai dove vado a parare. Per esempio, ieri stavo guardando il giardino, illuminato dal sole, e mi è venuto in mente il temporale che c’era il giorno in cui la mia mamma e mio fratello sono morti. Da non crederci. Sono sicuro che sia molto meglio non pensare a un accidente di niente, ma non sempre ci riesco. E allora bevo.
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Questo racconto partecipa all' EDS incipit, o della citazione proposto da La Donna Camèl
Gli altri parteciapnti sono: (lista provvisoria)
- Hombre - Tutto quello che non sopporto
- Dario - Avanti
- Melusina - Una giornata qualunque
- Lillina - Alter ego
- Mario - Aefula
- Singlemamma - La voce - the voice
- Melusina - bis - Ed essi andarono
- La Donna Camèl - 4maggio