lunedì 21 novembre 2011

Sette metri in trenta minuti

Ogni benedetta sera c'è il rito della messa a riposo del figlio.
“Figlio, è ora” 
“No, ancora cinque minuti”
“Vai che sono già le dieci e mezzo”
“Posso andare a letto alle dieci e trentatré?”. L’orario, proposto in alternativa, varia in base al mio tono di voce; al pacato rilancia di dieci-quindici minuti, al perentorio di tre-cinque.
“Adesso fila a letto!”

“Vado, vado. Che palle!”
E qui si inserisce il "fattore zaino".

Caso uno: zaino non pronto. “Lo sai che devi prepararlo subito dopo cena. Fila a farlo che se vengo, ti ribalto”. Il ragazzo parte e guadagna altri cinque minuti di veglia.
Caso due: zaino pronto. Il ragazzo guadagna comunque cinque minuti, tergiversando, ma  almeno non mi altero.
"Ci siamo quasi" penso. 

“Mi accompagni?”, chiede.
“Andiamo dai!”
Arriviamo nella stanza: indossa, con calma, il pigiama e si mette a letto. “Strano”, penso. Infatti: “Non mi sono lavato i denti!” esclama, rammaricato per la dimenticanza. La mia parte zen assume il comando: ”Vai, caro(gna), a lavarti i denti”. “Prima che te li butti giù io!” - questa è la mia parte dark, che non ha diritto di parola.
Dopo un po’ torna e si corica.
“Ciao bello, buonanotte”

Due giri nel letto e “Non ho salutato la mamma... ”
La mia pressione ormai è fuori scala, lo zen sta per essere preso a morsi dal dark. Nonostante tutto riesco a pronunciare un serafico “Vai a salutarla”. Si rialza, va in soggiorno e saluta la mamma. Si erano già abbracciati venti minuti prima, nella parte iniziale del gioco, ma tant’è.
Torna in stanza e si sdraia; però a terra, sul tappeto. Ridendo se ne esce con un ” Dormo qui”. 

Per controllare l'anima dark - ormai padrona del campo - mi mordo la lingua: “Pferchfè fnon fvafi a leftto?”. 
“Il letto cigola troppo”, risponde pacifico e beato. 
“Figlio, adesso, se non fili sotto le coperte, ti metto una mano in bocca e ti tiro fuori la gamba!”. Convinto più dalla scomodità del pavimento che dalla trita minaccia, abbandona il tappeto. Finalmente è orizzontale, a letto.
Lo saluto e me ne vado. Mi concede il tempo di fare tre passi e poi “Papà! Mi son dimenticato di bere!”. Con la bava alla bocca - sarà per la lingua morsicata - e la pressione alle stelle mi trascino in cucina, prendo la bottiglia dell’acqua e disseto l’assetato.
“Buonanotte papà”. 

“Ciao meraviglioso, dormi bene.”
Trenta minuti estenuanti. Ma non li cambierei con nient'altro.